Nessuno sano di mente prenderebbe mai alla lettera la vaporwave. È il vuoto semantico per definizione. È uno dei motivi che permettono al produttore vapor di ammantarsi di qualsivoglia patina estetica sia solo vagamente retrò. L’importante è la musica. O forse è la patina retrò l’unica cosa importante. O forse non importa nulla.
Nel 2015, Penthouse Apartment, già autore del fortunato Pirlo, pubblica Trump. Singolare la scelta di dedicare un album a una delle più controverse figure degli ultimi anni: Donald Trump è personaggio pubblico da decenni ma è diventato protagonista dei più discussi (o discutibili) della cronaca internazionale soltanto negli negli ultimi anni (quindi in un periodo non vaporwavico). In questi ultimi mesi del 2016 Trump ha conquistato, purtroppo o per fortuna, al lettore il giudizio, il diritto di sedersi al tavolo delle persone più potenti del mondo. Il 2016 sarà ricordato come l’anno di Donald Trump, uomo tanto discusso dalla gente seria nella vita reale quanto oggetto di infiniti meme su internet. E quale genere musicale viene associato ai meme quanto la vaporwave?
Trump. Meme. Vaporwave. Come interpretare questo triade? Che lezione trarre sull’attualita? Come pontificare ponderosi sull’opportunità di dedicare un disco intero a questo assurdo personaggio?
Se qualcuno si è posto questa domanda, c’è cascato in pieno. Questa è musica vaporwave. Questi sono vecchi jingle rallentati, vecchi discorsi inseriti per farsi due risate, questa è lounge di bassa fedeltà e di alta qualità. Poca lentezza, poche voci distorte, tanto smooth jazz da supermercato.
Musica per guardare il telegiornale di mezzanotte alla TV con il volume spento.